Progetto: Aldo Andreani, architetto e scultore italiano (Mantova, 1 ago. 1887 – Milano, 18 ott. 1971).
All’angolo fra le vie Serbelloni e Mozart, alle spalle di corso Venezia, a Milano, si trovano alcuni palazzi dalla notevole architettura costruiti nella seconda metà degli anni Venti; uno di questi, in via Melegari 2, è Palazzo Fidia, forse la massima rappresentazione artistica dell’architetto mantovano Aldo Andreani.
Il palazzo, edificato a partire dal 1929 in seguito ad una operazione urbanistica avviata nel 1924, è uno degli elementi più significativi dell’insieme urbano sorto sull’area dell’ampio giardino di Palazzo Serbelloni.
La vicenda di Palazzo Fidia prende avvio, dunque, dal “Piano generale di edificazione in terra Sola-Busca“, impostato cioè sull’area caratterizzata dal Palazzo Sola-Busca, già Serbelloni, all’epoca di proprietà del conte Gian Ludovico Sola Cabiati, e dall’attiguo vasto giardino.
Presentato nel 1924, il progetto di lottizzazione è elaborato in forma definitiva l’anno successivo: l’impianto urbanistico studiato da Andreani si basa su equilibrati rapporti di volume tesi ad un risultato formale unitario che coinvolge anche le aree circostanti. Il piano garantisce ampio respiro alla facciata sul giardino dello storico palazzo Serbelloni, impostando su questo le nuove costruzioni simmetricamente disposte attorno ad un cannocchiale prospettico che interseca la via Melegari.
L’edificio, espressione personalissima di Andreani, artista poliedrico che non si allinea con le correnti ufficiali della cultura figurativa italiana, nel suo insieme non si adegua a riferimenti stilistici o linguaggi precedenti o coevi dell’architettura, ma mescola vari tipi edilizi, materiali e tipologie in un unicum sorprendente. Alla tessitura omogenea del paramento in mattoni, si contrappongono inserti vetrati, aggetti in pietra lavorata e uno spregiudicato gioco di sporgenze, di volumi, di asimmetrie, che sono l’elemento dominante della composizione architettonica.
L’edificio ha pianta a V appena pronunciata e si eleva sino al nono piano; le facciate presentano una notevole caratterizzazione, espressione della originalità e creatività dell’architetto nella sorprendente composizione di superfici arretrate e di aggetti, di finestre di ogni foggia e di bow-window tondi, di cornici, ghiere e dentellature. Le superfici sono rivestite con tipici materiali lombardi, il mattone, soprattutto, posato con differenti tessiture, ed il ceppo nelle varietà cromatiche disponibili, ai quali sono aggiunte intense colorazioni con la pittura delle parti intonacate. Emergono un po’ ovunque archetti e archi a vento, nicchie e pensiline, timpani e balaustre, pigne e pinnacoli; appena un po’ di quiete soltanto verso l’interno del lotto, dove la facciata dell’edificio si fa concava.
Palazzo Fidia, per la cui eccezionale architettura raccoglie le attenzioni della critica già al tempo della sua costruzione. Non concorde, ovviamente: considera l’edificio come una “sarabanda sfrenata“,”jazz architettonico“, “sonoro ceffone a tutti i bigotti della tradizione“, il riflesso di un artista a tutto tondo, che diventa autore di “esperimenti architettonici d’un pittoresco e d’un impensato veramente sconcertanti“.
Danneggiato durante la guerra, nel fronte su Via Mozart, fu in parte modificato nel grande loggiato ad arco del risvolto sullo stacco con l’edificio attiguo di questa cortina: tamponato e reso parte integrante della superficie degli alloggi dei corrispondenti livelli. Una vicenda questa, che vide l’Andreani fortemente critico sulla manomissione dell’impianto originario, con riverberi di prese di posizione anche sulla stampa locale.
Sotto il profilo costruttivo, la fabbrica si caratterizza per un uso anche ardito della tecnologia del cemento armato (con sporti a sbalzo di facciata sino a 3,5 metri e solai interni, gettati in opera, con luci di quasi 8 metri). Al di là della massività dei fronti, in mattoni pieni, infatti, la struttura dell’edificio è del tipo a telaio – a travi e pilastri – in conglomerato cementizio armato.
L’Andreani ebbe ivi residenza e studio, nei due primi piani del Palazzo sino al 1933.
L’immobile è stato dichiarato di interesse storico artistico, e quindi soggetto a tutela, ai sensi degli articoli 10 comma 3 lettera a) e 13 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio con decreto del 01.03.2019 – MIBAC – SABAP.
ANDREANI, Aldo, Biografia (da Dizionario Biografico Treccani).
Figlio di Carlo, ingegnere capo del comune di Mantova, e di Felicita Risi, nacque a Mantova il 1 ag. 1887. Data la professione del padre, ebbe modo di fare, fin da giovanissimo, esperienza diretta di cantiere. Compiuti gli studi classici a Mantova e ottenuto, nel 1912, il diploma all’Accademia di S. Luca a Roma, l’A. perfezionò la sua formazione presso il politecnico di Milano, dove, allievo di G. Moretti, si laureò in architettura nel 1914.
I progetti e le architetture da lui realizzate, che si collocano prevalentemente negli anni compresi tra le due guerre, sono riconducibili – nell’ambito di quel clima culturale carico di compromessi e di equivoci, contrassegnato nel settore dell’architettura da prospettive assai diverse e contraddittorie quali l’avanguardia razionalista e le persistenze eclettiche – a quel filone definito “neo-eclettico” (R. Bossaglia, Dopo il Liberty: considerazioni sull’eclettismo di ritorno e il filone dell’architettura fantastica in Italia, in Studi in onore di G. C. Argan, Roma 1984, II, p. 209), vincolato ad una volontà di recupero dei valori grammaticali del tardo eclettismo.
Nel periodo precedente la Prima guerra mondiale l’A., ancora studente, esordì per lo più a Mantova o nei dintorni con i primi progetti: villa Zanoletti a Volta Mantovana (1909); casa Nuvolari a Mantova (1910); casa Schirolli a Mantova (1910); casa di via Rizzoli a Bologna (1911, rimasta allo stato di progetto); villa Risi a Pietole (1912).
I termini di riferimento più immediati per queste opere, caratterizzate da eclettiche citazioni medievaliste coniugate ad elementi tipici del Liberty, sono le architetture di G. Moretti, G. U. Arata e G. Sommaruga.
La conoscenza approfondita e l’assoluta padronanza degli stili storici, acquisite attraverso la ricerca d’archivio, sono documentate esemplarmente dalla riproduzione degli “studioli” di Isabella d’Este all’Esposizione di Roma (1911), di cui egli fu incaricato, in veste di delegato della provincia di Mantova. Interessanti per il suo iter artistico, inoltre, il sepolcreto dei marchesi Sordi a Frassine (1913) e la sede per la Camera di Commercio di Mantova (cfr. L’Edilizia moderna, XXIII p. [1914], n. 10, pp. 61-64), sorta di palazzo rinascimentale che anticipa, per la ridondante decorazione di elementi in aggetto tratti dal repertorio eclettico, quel gusto espressionista che l’autore svilupperà in pieno, nel 1930, nelle case Sola-Busca a Milano. Dello stesso periodo sono i progetti del sarcofago Usigli nel cimitero di Mantova (1914) e del santuario, di gusto vagamente orientaleggiante, di Cittadella di Mantova (1917).
Dopo la guerra lavorò ad una serie di progetti a Milano: riforma del palazzo di via Brera n. 12 (1919-20) e sopralzo di casa in via Montebello (1939); e soprattutto in Liguria: ristrutturazione dell’Hôtel West End e dell’Hôtel Miramare a Sanremo (entrambi del 1920-21, rimasti in fase di progetto); progetto per il villaggio di Santa Corona a Pietraligure (1923); sistemazione di villa Rotondi a Rapallo (1921-22), notevole per le strutture della serra in metallo e vetro, riecheggianti l’architettura ottocentesca del ferro, e per il disegno curvilineo, di matrice barocca, del parco. Nel 1922 fu approvato il suo piano di massima per il restauro del complesso dei palazzi comunali di Mantova (nel 1915 aveva vinto il premio Picozzi per lo “Studio di restauro del monumento antico italiano“), minuziosamente illustrato dallo stesso A. nei volumi: Palatium vetus et palatium novum Communis Mantuae, Ostiglia 1915, e I palazzi del Comune di Mantova. Assaggi, rilievi, progetti e restauri, Mantova 1942. Negli anni 1922-23realizzò, in uno stile medievalista “pittoresco”, il casino di caccia “La Rocchetta” a Bosisio, sul lago di Pusiano (di cui studiò anche l’intero piano d’arredo); da segnalare soprattutto per l’originalità dello schema planimetrico (che rimanda ad alcune note costruzioni di H. Guimard, quali alcuni hôtels parigini): una forma a pipistrello al cui centro si apre una grande corte a pentagono irregolare. Nel 1924 progettò i mobili e il decoro del caffè Lauzi a Milano (si trovava in via Verdi, angolo via Manzoni; è stato smantellato) e iniziò a lavorare all’incarico più impegnativo: il piano generale di edificazione nel giardino Sola-Busca, retrostante corso Venezia (in Rassegna di architettura, III [1931], pp. 201-210).
Rispetto al progetto di rielaborazione di tutto il quartiere l’A. potrà realizzare, a causa di sopravvenute difficoltà finanziarie che causeranno un brusco arresto del programma, soltanto isolati frammenti, dal 1924 al 1930: il palazzo di via Serbelloni angolo via Maffei (1927) e palazzo Fidia in via Melegari angolo via Mozart (1930), entrambi esistenti e non modificati. Quest’ultimo viene considerato l’opera più nota e forse più sintomatica del metodo compositivo dell’A., che gli valse la qualifica di architetto fantastico e bizzarro (P. D’Ancona, Milano, monumenti e arte, in Encicl. Ital., XXIII, Roma 1930, p. 277 a). “Il folle palazzo Fidia … ai piedi del quale si formavano capannelli di milanesi inorriditi” (D. Buzzati, Che strano altro ieri, in Corriere della sera, 1º maggio 1971) – monumentale, spettacolare architettura, quasi scultura, in cui la plasticità dei volumi sovrapposti e degli aggetti è modellata dalle variazioni di “grana” del rivestimento in cotto esprime una vigorosa sintesi della ricerca compositiva iniziata vent’anni prima.
Tra il 1926 e il 1928 l’A. fu allievo di A. Wildt al corso speciale di scultura all’Accademia di Brera; da allora in avanti la sua attività di scultore proseguirà parallelamente a quella di architetto, al punto che l’A. si autodefinirà “architetto scultore” (Somaré, 1937). Sue sculture – in terracotta e in bronzo -, oltre che presso la figlia Carla Menozzi, si trovano nella casa di via Serbelloni nn. 10-12 (L’orecchio del portiere, Le mani di Noè) e nella caserma dell’arma dei carabinieri di piazza S. Sepolcro a Milano.
Con i progetti posteriori al 1930 l’A. chiudeva una stagione poetica, irrimediabilmente inattuale, e si avvicinava alla compagine novecentista. Nel 1934 aveva vinto con altri il concorso per il piano regolatore di Mantova (non realizzato; si veda P. Perelli-G. Colombo-E. Marone-F. Natoli, Il piano regolatore di Mantova…, Milano 1934). Dal 1934 al 1937elaborò progetti, i più impegnativi dei quali non realizzati, per la sistemazione di piazza S. Babila (sui vari lotti tracciati dal piano regolatore di Milano della nuova piazza) che, semplificati sotto il profilo stilistico, recuperavano ampie influenze di matrice futurista e costruttivista. In questa fase rientrava il progetto per la sede delle Assicurazioni Toro (1934-35), teso alla ricerca di volumetrie volutamente scarne e disadorne, ma plasticamente complesse.
Il lungo polemico isolamento successivo a questi ultimi discussi progetti fu interrotto da importanti opere di conservazione a Mantova: restauri del palazzo della Ragione e della torre dell’Orologio (entrambi del 1942); della chiesa di S. Francesco (1943-44) distrutta nel 1945, a restauro ultimato, da un’incursione aerea (cfr. L’Arte, LXII [1963], pp. 6-23); della casa di Giulio Romano (1969-70).
La conservazione di famosi monumenti era interpretata dall’A. in termini di reinvenzione di improbabili forme antiche, secondo una concezione, all’epoca ancora molto in auge, di ripristino degli elementi scomparsi e di eliminazione delle stratificazioni successive.
Anche l’attività progettuale, in progressivo esaurimento dalla metà degli anni Trenta in poi, non s’interruppe del tutto, ma opere quali la sede di Mantova della Banca commerciale italiana (1950-52) o la sistemazione a villaggio turistico del Capo Bello di Taormina (1957) non contribuirono ad approfondire la sua esperienza di architetto.
L’A. morì a Milano il 18 ott. 1971.